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martedì 29 maggio 2012

Gli stipendi dei docenti universitari italiani

Il quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung ha fatto un'inchiesta sui compensi dei professori universitari nel mondo. Ne emerge che gli italiani, con 13.677 euro mensili lordi medi, sono i più pagati dell’Unione europea (a parità del costo della vita). Il compenso nel Regno Unito è di 12.554 euro, in Olanda di 10.685, in Germania 9.575. 

lunedì 28 maggio 2012

Tagliare per crescere

Tim Knox e Ryan Bourne, economisti del Centre for Policy Studies, nella ricerca "Small is Best: Lessons From Advanced Economies" hanno confrontato la crescita delle principali economie industrializzate dal 1965 e il 2010 (su dati del Fmi). Ne emerge che la riduzione della quota di  tasse e di spesa pubblica sul Pil di 5 punti percentuali fa aumentare la crescita del Pil di una cifra compresa tra gli 0,5 e gli 0,6 punti percentuali.

domenica 27 maggio 2012

Crolla la produzione dell'oppio afghano

Pessimo raccolto per l'oppio afghano, la produzione è crollata a circa un sesto di quella dello scorso anno. Addirittura tre contadini della provincia dell'Helmand, che conta per metà della produzione nazionale, si sono suicidati per la disperazione. Dato che la raccolta è stata così scarsa i prezzi si sono impennati dai 200 ai 300 dollari (erano 80 nel 2009). L'Afghanistan produce il 90% dell'oppio mondiale, secondo le stime le coltivazioni coprono 131.000 ettari. Considerato che la tassazione clandestina dell'oppio è una delle loro principali fonti di finanziamento, i talebani dovrebbero avere serie difficoltà. Nello stesso tempo però americani e afghani temono che altri contadini finiti sul lastrico finiranno invece per entrare a far parte dei barbuti.

sabato 26 maggio 2012

Eurobond, qualche dubbio sull'esempio di Hamilton


Nel chiedere ai tedeschi di intervenire per garantire i debiti degli altri europei si cita spesso l'esempio di Alexander Hamilton che, da primo segretario al Tesoro degli Stati Uniti, nel suo First Report on the Public Credit propose che il governo federale che stava nascendo si facesse carico dei debiti delle 13 colonie che ne avrebbero fatto parte. Il Congresso approvò la sua idea ed evitò che alcuni degli Stati finissero in bancarotta.
Ma, avverte il Wsj, tra l'Europa di oggi e gli Usa di allora ci sono differenze non piccole. Hamilton non si fece carico dei debiti futuri, ma solo di quelli passati, che erano eredità delle spese sostenute per la guerra che ha permesso a quelle 13 colonie di diventare indipendenti e quindi potersi unire. Messi assieme i debiti del passato, quelli del futuro sarebbero rimasti separati. Difatti qualche stato americano ha poi fatto bancarotta nel Novecento e qualcuno rischia ancora di fallire. La seconda differenza è che Hamilton mise assieme i debiti sul principio che la guerra di indipendenza era una guerra da fare tutti assieme, e quindi i costi sostenuti andavano divisi tra tutti. Invece i debiti degli Stati europei sono stati fatti per interessi sempre domestici, non per qualche esigenza di spesa necessaria per unire sempre di più l'Ue.

I rischi dello sitmolo cinese

Con un grosso piano di stimolo nel 2008 la Cina spese una cifra pari al 15% del suo Pil per rilanciare l'economia. Tra i risultati di quel progetto ci sono sta stati un'inflazione impazzita, la crescita sregolata del mercato immobiliare, la diffusione di pessimi prestiti. Ora Pechino punta a lanciare un nuovo piano per la crescita, che sta rallentando vistosamente (ad aprile si è fermata al +7% rispetto a un anno fa). La strategia è rischiosa. Si consideri che oggi la quota di Pil cinese dedicata agli investimenti è il 50%, nessuna tigre asiatica aveva mai speso tanto. Anche l'efficienza dell'economia cinese e quantomeno discutibile. Secondo le stime di Bp, Pechino lo scorso anno ha consumato energia per 2,4 miliardi di tonnellate di petrolio equivalente per ottenere un Pil di 5,9 miliardi di dollari. Gli Usa ne hanno consumati 2,3 per un Pil di 14,6 miliardi.

venerdì 25 maggio 2012

Il sensato richiamo di Weidmann

Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, al Monde ribadisce un concetto abbastanza sempre: mettere in comune i debiti non favorisce la crescita, serve solo a rimandare la soluzione del problema, che è la necessità di fare riforme strutturali in grado di mettere le economie più in difficoltà in grado di crescere. Chi parla di Keynes fa finta che gli enormi debiti pubblici non esistono.

Statali, quanti sono e cosa fanno

Due bei grafici da Repubblica di oggi.


Le indagini sull'Ipo di Facebook


Passati cinque giorni dal debutto a Wall Street il titolo Facebook vale 32 dollari, 6 in meno rispetto alla quotazione di partenza. Adesso si capisce perché alcuni dei navigati squali della finanza che erano entrati in società con Mark Zuckerberg tre giorni prima dell’Ipo abbiano deciso di incrementare la quota di azioni da vendere. Questa "aggiuntina" finale ha permesso alla banca d’affari Goldman Sachs, al fondo speculativo Tiger Management e ai russi di DST More di incassare complessivamente 2 miliardi in più venerdì e, considerate le quotazioni attuali, di perdere qualche miliardo in meno dalla svalutazione dei titoli che si sono tenuti in portafoglio.
Forse però anche questa vicenda finirà presto nel gruppone delle inchieste sull’Ipo più cool e più cattiva del 2012. Incassato il record di debutto più ricco di sempre per una società tecnologica, Facebook rischia il primato dell’esordio di Wall Street più sospetto degli ultimi anni. Riepiloghiamo le cause aperte: 3 azioni collettive contro i manager del social network e le banche che hanno curato l’operazione; indagini della Sec, dalla Finra e della commissione Finanza del Senato (cioè le massime autorità americane di vigilanza finanziaria); una denuncia al Nasdaq da parte di un investitore che è stato danneggiato dai problemi tecnici della quotazione. Quest’ultima vicenda è la più semplice: la società dell’indice tecnologico non è stata in grado di gestire un’operazione così grande e tra rallentamenti e risposte lente ha provocato gravi danni a molti investitori. Ora rischia di perdere molti clienti e secondo le ultime voci Facebook, che in questo caso è stato una "parte lesa", starebbe meditando di traslocare al Nyse, il più solido indice di Wall Street.
Più grave è la vicenda su cui stanno indagando Sec, Finra e Senato. Il 9 maggio, una settimana prima della quotazione, Facebook ha comunicato ai mercati che la crescita della pubblicità non aveva lo stesso ritmo di quella del numero di utenti. I dettagli l’azienda li ha dati soltanto a un ristretto gruppo di investitori. Il responsabile finanziario David Ebersman, a cui Zuckerberg ha affidato la quotazione, ha contattato 20 analisti – tra cui quelli di Morgan Stanley, Goldman Sachs, JPMorgan, le principali banche coinvolte nell’Ipo – per consigliare loro di guardare al limite basso dell’intervallo di utili e fatturato 2012 previsti nei documenti che hanno accompagnato la quotazione. Facebook sta andando peggio del previsto ma soltanto certi investitori ne sono stati informati prima del debutto in Borsa. Il dettaglio comunicato da Ebersman alle banche più vicine all’Ipo era «importante»? Sì, verrebbe da dire a caldo, ma toccherà agli investigatori della Sec e delle altre autorità stabilire se l’omissione sia stata o meno un illecito. L’esito delle indagini non è scontato, spiegano gli esperti delle norme di Wall Street, perché la Regulation FD che si occupa delle informazioni «importanti» da dare al mercato prima di un’Ipo è poco specifica e molto interpretabile.

Pietro Saccò su Avvenire del 25 maggio

giovedì 24 maggio 2012

Lo shale gas taglia le emissioni

Di tutte le nazioni analizzate dall'Agenzia internazionale per l'energia, quella che ha ottenuto la migliore riduzione nelle emissioni di gas serra sono gli Stati Uniti, capace di tagliare le emissioni di 450 milioni di tonnellate in cinque anni. Negli ultimi 12 mesi, secondo il Dipartimento Usa per l'Energia, la produzione di elettricità da carbone è diminuita del 19%, quella da gas è aumentata del 38%. E una centrale a gas in genere produce metà delle emissioni serra di una centrale a carbone.

La straordinaria ripresa islandese

L'Islanda, che nel 2008 ha fatto bancarotta per l'implosione del suo sistema bancario, si sta riprendendo. Il Pil è salito del 3% lo scorso anno e dovrebbe fare +2,4% nel 2012. Nel 2009 era caduto del 7% e nel 2010 del 4%. La strategia islandese è stata quella di adottare un percorso autonomo. Il governo ha scaricato sui creditori internazionali le perdite del suo sistema bancario, ha svalutato la sua moneta, la krona, del 50%, ha imposto forti controlli sui capitali per evitare fughe all'estero.

Il risultato è stato un aumento di alcuni costi - come i carburanti, i finanziamenti e in generale i beni importati - e un miglioramento dell'export, che conta per il 54% del Pil del Paese. La disoccupazione è al 6,3%, l'inflazione in 4 anni è stata del 26% e ora il trend sul 2011 è del 4,8%. Gli stipendi sono diminuiti ma sono comunque più alti della media europea: l'equivalente di 10 euro all'ora per i meno qualificati, contro i 20 di prima del 2008.

In questa risalita gli islandesi hanno però qualche vantaggio che li rende poco imitabili: sono molto lontani dal resto d'Europa, per scaldare le case usano l'energia geotermica (un'energia autoctona) e sono solo 320 mila persone.

Raffinerie a secco


"Lo scorso anno la libica Tamoil ha definitivamente spento la raffineria di Cremona. A fine gennaio la Erg è scesa al 20% nell'isab di Priolo, ora in mano a Lukoil per 1'80%. Il gruppo della famiglia Garrone, in un'audizione alla Camera, ha calcolato che se non avesse ceduto a fine 2008 una prima metà della raffineria
ai russi avrebbe bruciato 600 milioni di euro nei tre anni successivi, «probabilmente causando ti fallimento dell'intera azienda». Nel complesso il sistema italiano pub «lavorare» oggi un centinaio di milioni di tonnellate l'anno di greggio (erano 180 nei 1976) ma i consumi superano di poco i 70 milioni. in questo spazio, si fa
spesso notare, potrebbero «ballare?? (cioè sparire)  4-5 medie raffinerie. Oggi sul territorio nazionale ce ne sono 15, e da un paio di anni a questa parte il toto-chiusura è diventato un gioco un po' funereo ma molto attuale. Non che in Europa lo scenario sia molto diverso. L'ultimo schianto è stato quello di Petroplus cinque raffinerie tra Svizzera, Belgio, Francia, Germania e Regno Unito".

Stefano Agnoli sul Corriere

mercoledì 23 maggio 2012

Il Fatto si dà il dividendo

Giorgio Poidomani lascia il Fatto Quotidiano. Si dice, ma lui nega, che se ne sia andato in polemica con la decisione dei soci di distribuirsi 3,16 milioni di euro di dividendo per l'esercizio 2011, stessa somma distribuita  nel 2010. Al suo posto Cinzia Monteverdi, che ha il 16,2% delle azioni.


I conti del dividendo: "Antonio Padellaro, direttore del quotidiano e in possesso del 16,2%, si è quindi messo in tasca altri 552 mila euro lordi, che sommati ai 552 mila dell'anno prima e ai 138 mila del parziale esercizio 2009, fanno un totale di 1.242.000 euro di soli dividendi (cui aggiungere lo stipendio). L'affare del secolo, insomma, per un investimento iniziale di 100 mila euro. Il vicedirettore Marco Travaglio, che possiede il 4,8%, incassa un dividendo di 165.600 euro, mentre Peter Gomez, direttore della edizione on line, col suo 3,25% ha un dividendo di 110.400 euro. Per l'ex magistrato Bruno Tinti (8,1%) ci sono 276 mila euro, e per il giornalista Marco Lillo (2,43%) quasi 83 mila euro. Gli altri azionisti-imprenditori, titolari, invece, di azioni di tipo A, da Luca d'Aprile alla stessa Monteverdi, da Francesco Aliberti alla casa editrice Chiarelettere, tutti col 16,2%, incassano, infine, ciascuno 480 mila euro"


Claudio Plazzotta su Italia Oggi

martedì 22 maggio 2012

Il motore della crescita tedesca

Oggi a Milano Ludger Schuknecht, direttore generale del ministero delle Finanze tedesco, ha spiegato una cosa semplice: l'unico modo che la periferia europea ha di risolvere la sua crisi è rendersi abbastanza competitivo da tornare a crescere. Una riforma del lavoro che permetta di spostare la forza lavoro dalle imprese improduttive a quelle produttive sarebbe un primo passo. Il secondo è il contenimento dei salari. Nel frattempo tagliare tagliare tagliare la spesa pubblica.



La variazione del costo del lavoro in Germania e nella zona euro tra il 1995 e il 2011, dal Wsj

sabato 19 maggio 2012

Le colpe dello spread

"Bisogna ricordare che dal 1990 al 1995, prima che l’Italia si avviasse verso l’ingresso nell’euro, la media dello spread BTP-Bund era di 500 p.b.. Perché nessuno si lamentava allora? Perché avevamo ancora la lira e, all’occorrenza, era possibile che la lira si svalutasse, ridando fiato alla competitività del made in Italy. Naturalmente, da quando siamo nell’euro, quella possibilità di ridare ossigeno alle tante fabbrichette di casa nostra non c’è più. Però abbiamo avuto grandi vantaggi perché, per quasi quindi anni, abbiamo pagato i tassi tedeschi, o quasi, sui nostri debiti, ivi incluso il debito pubblico. Infatti, con l’avvento dell’euro, e già prima, lo spread si azzerava (o quasi) e rimaneva su quei livelli più o meno fino alla prima parte del 2011. E allora il conto lo si può fare di quanti interessi sul debito pubblico l’euro ci ha risparmiato per circa quindici anni. Calcolando prudenzialmente una riduzione dello spread di 400 p.b. rispetto al periodo pre-euro, si arriva almeno a 60 miliardi di minori interessi all’anno sul debito pubblico italiano. In tutto, se consideriamo il quindicennio nel quale abbiamo goduto del bonus “tedesco” sui tassi di interesse, si cumula un ammontare di oltre 800 miliardi di interessi risparmiati. Insomma, se i nostri politici – di destra e di sinistra – invece di rilassarsi e di accontentare i tanti loro amici avessero usato il bonus tedesco per ridurre il debito pubblico, oggi ci troveremmo con un rapporto debito pubblico/PIL (il valore della produzione di un anno intero) al 70%, anziché al livello attuale del 120%".
Giovanni Ferri, su FirstOnline

Un Brasile quasi europeo

A marzo il Pil del Brasile si è contratto dello 0,35% rispetto a febbraio. Un calo che fa del paese governato da Dilma Roussef la seconda economia più lenta dell'America latina, dopo l'Argentina. Nel primo trimestre la crescita si è quindi fermata all'1,1%, dopo l'1% dell'ultimo trimestre 2011. Già lo scorso anno si era concluso con risultati economici deludenti: il Pil era cresciuto solo del 2,7%.Il real si sta svalutando, è sceso sotto i 50 centesimi di dollaro per la prima volta  da tre anni. Tra  altre economie emergenti, nel primo trimestre la Cina è cresciuta dell'8,1% (+8,9% il Pil di fine 2011), mentre l'India del 6,1% (in calo rispetto al +8% di ottobre-dicembre). Poche settimane fa la banca centrale brasiliana ha tagliato il costo del denaro di 350 punti base, portandolo al 9%. Potrebbe presto annunciare un nuovo taglio, all'8,5%.

giovedì 17 maggio 2012

La lezione di Lucrezia Reichlin, in tre punti


"Primo, le deludenti performance recenti dell'Italia rispetto alla Germania non sono dovute al maggiore successo nell'export di quest'ultima ma a una domanda interna che in Italia è particolarmente depressa. Da qui l'importanza di pensare a politiche che la sostengano. Secondo, la bassa crescita del nostro Paese è un problema tutto italiano che nasce quindici anni fa e che poco ha a che fare con la crisi dell'euro. Questo problema va risolto affrontandone le sue cause strutturali. Terzo, l'Europa nel suo insieme, compresa la più virtuosa delle sue figlie, la Germania, è da quarant'anni ad un livello di reddito molto più basso di quello degli Stati Uniti. La sopravvivenza dell'euro e dell'Unione Europea dipenderà dal sapere affrontare con coraggio le cause di questa differenza e dalla capacità di analisi del perché il mercato unico e la unione monetaria abbiano largamente deluso le loro promesse iniziali. Forse questo sarà il momento in cui si smetterà di dare colpa agli speculatori e si comincerà a guardare alle vere cause dei nostri insuccessi".
dal Corriere di Oggi

Effetto Free Mobile in Francia


In tre mesi di vita Free Mobile, la compagnia telefonica low cost di Xavier Niel, ha conquistato 2,6 milioni di clienti, il 3,8% del mercato francese. Il fatturato dell'azienda è aumentato del 29%, a 656 milioni di euro. Vivendi, che controlla Sfr, ha ammesso di avere perso 620 mila clienti nel primo trimestre, Orange ne ha persi altri 615 mila. Tutti stanno cercando di resistere tagliando drasticamente le tariffe.

La promessa del gas africano


La rivoluzione del "nuovo gas" – quello non convenzionale che si estrae dalle rocce d’argilla a tre chilometri di profondità – sta cambiando gli equilibri energetici mondiali, perché sta dando agli Stati Uniti una crescente indipendenza dal petrolio straniero. Anche il "vecchio gas" sta vivendo però una sua rivoluzione, una svolta in atto nell’Africa dell’Est e mossa soprattutto dall’Eni, la compagnia italiana che ha nel ministro dell’Economia il suo principale azionista. Ieri il gruppo italiano ha annunciato una nuova scoperta di gas naturale al largo delle coste del Mozambico. Una scoperta "giant", gigante: il nuovo pozzo trovato nell’Area 4 potrebbe contenere tra i 198 e i 202 miliardi di metri cubi di gas, la stima per l’intera Area 4 sale così a una quantità di gas compresa tra i 424 e i 566 miliardi di metri cubi, mentre il potenziale massimo dell’area è ora indicato in 1.471 miliardi di metri cubi. È una quantità enorme: si consideri che Francia, Germania, Regno Unito e Italia in un anno consumano tutte assieme circa 280 miliardi di metri cubi di gas. La sola Area 4 delle esplorazioni Eni in Mozambico potrebbe quindi rifornire di gas le tre principali economie europee per due anni interi.
Il terreno sotto il mare al largo dell’Africa sud-orientale si sta rivelando ricchissimo di gas naturale. Sempre ieri le compagnie britanniche BG Group e Ophir Energy hanno annunciato di avere trovato più gas di quanto inizialmente previsto al largo della Tanzania mentre martedì erano stati ancora dei britannici, quelli di Anadarko, a comunicare nuove scoperte nel mare del Mozambico.
Le compagnie si stanno organizzando per trasportare nel mondo il gas che estrarranno in Africa. È proprio di ieri il via libera dell’Antitrust europeo alla costituzione di una joint venture tra Eni, British Petroleum, Chevron, Sonangol e Total per la produzione di gas naturale liquefatto (quello che può essere caricato sulle navi e portato a un rigassificatore dovunque nel mondo) in Angola.
Inoltre le nuove scoperte di gas potrebbero creare un indotto locale in grado di spingere la crescita dell’economia di nazioni poverissime: con un Pil pro capite di 1.515 dollari nel 2011 la Tanzania è 158esima sui 183 Paesi censiti dal Fondo monetario internazionale. Il Mozambico, dove il Pil pro capite è di 1.085 dollari, è in 170esima posizione.
da Avvenire del 17/05/2012

mercoledì 16 maggio 2012

Sei mesi di calo per gli investimenti esteri in Cina

Gli investimenti esteri in Cina ad aprile sono diminuiti dello 0,74% rispetto a un anno fa, per un ammontare complessivo di 8,4 miliardi di dollari. A marzo la diminuzione era stata del 6,1%, a 11,8 miliardi. Sono sei mesi che gli investimenti esteri in Cina sono in calo. Il portavoce del ministero del Commercio ha giustificato la riduzione con due ragioni: le difficoltà dell'economia globale e il fatto che altre economie emergenti hanno adottato politiche fiscali e agevolazioni che attraggono gli investimenti di Europa e Stati Uniti. Nei primi 4 mesi dell'anno il calo degli investimenti esteri in Cina è stato del 2,4%, a 37,9 miliardi di dollari.

L'esposizione della Bce verso le periferie


"Secondo le stime di Bridgewater, l'esposizione totale della cosiddetta «periferia» dell'euro è di circa diecimila miliardi di euro, sommando i debiti del settore pubblico a quelli privati. Di questi, circa 3.500 miliardi sono prestiti a suo tempo offerti a Italia, Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo dall'estero; gli investitori stranieri servirebbero dunque a finanziare il funzionamento di questi cinque Paesi, invece continuano a liberarsi dei loro crediti cercando di venderli non appena possono. Una fonte di finanziamento vitale per l'Europa del Sud sta venendo meno. Bridgewater calcola che, dall'inizio della crisi, la riduzione del credito privato all'Italia (meno 19%) o alla Spagna (meno 15%) è stata minore di quella subita dalla Grecia, dall'Irlanda e dal Portogallo (meno 5o%). Ma anche così il buco nelle esigenze di raccolta di prestiti per le imprese, le famiglie e i governi, in Italia e in Spagna, è molto grande: ai ritmi attuali solo nei prossimi sei mesi rischiano di mancare all'appello 33o miliardi".
Federico Fubini sul Corriere

venerdì 11 maggio 2012

Lo shale gas ucraino a Chevron e Shell

Kiev sta per assegnare i suoi due maggiori giacimenti di shale gas. A quanto pare ne ha vinto uno, quello di Yuzivska, sarebbe toccato a Shell, l'altro, Olesska, a Chevron. Sconfitte nella gara Eni, Exxon e Tnk-Bp.

giovedì 10 maggio 2012

La casa si rivaluta sempre? Bugia

I calcoli di Scenari Immobiliari dicono che posto 100 il prezzo medio delle case in Italia nel 1992  la sua variazione reale (cioè quella che tiene conto dell'inflazione) è stata in discesa per 10 anni, con punte di ribasso a 73 nel 1999. Per le case di lusso, che secondo il luogo comune "si rivalutano sempre" il calo è durato sempre 10 anni, la risalita le ha portate a toccare una punta di 115 nel 2007, ma ora valgono 103. Cioè in 20 anni si sono rivalutate del 3%. Quelle "normali" oggi valgono invece 87: hanno perso il 13% del valore.


Vittorio Tadei, fondatore di Terranova e Rinascimento

"Ex ciclista, cattolico, definisce Dio «il socio di maggioranza» delle proprie aziende. Nel 2006 tentò l' avventura politica con una lista civica appoggiata dal centrodestra, ma dopo meno di due mesi mollò per problemi di salute. Ha quattro figli: un maschio, Gigi, scomparso prematuramente, e tre femmine. Non ama parlare di sé, ma la sua storia l' ha raccontata l' anno scorso ai dipendenti venuti da tutto il mondo al Palacongressi di Rimini, per festeggiare i suoi 50 anni di carriera. «Fin da quando ero piccolo - ha ricordato - ci sono due frasi che mi hanno sempre accompagnato. La prima dice che l' uomo è amministratore dei beni che dispone e non padrone. Sentirmi amministratore e non padrone della Teddy, mi ha regalato la forza di cui avevo bisogno per affrontare il business. Un padrone ragiona soltanto per il proprio tornaconto, fa scelte di tipo speculativo, chiude senza preoccuparsi delle persone. Un amministratore, invece, deve rendere conto al suo socio di maggioranza quindi non tratta le persone come numeri e non chiude, ma cerca di far crescere l' azienda nell' interesse del bene di tutti, comprese le generazioni future»".


Roberta Scagliarini sul Corriere

mercoledì 9 maggio 2012

Le strane scorte di petrolio saudita

I sauditi stanno facendo scorta di petrolio. Ne hanno messi da parte 35 milioni di barili tra dicembre e febbraio. Adesso sono arrivati a 80 milioni di barili. Strano, visto che quando i prezzi sono così alti non ha senso fare scorte. Scrive Raineri: "Riad e Washington tengono in considerazione la possibilità a breve termine di uno strike israeliano contro il programma atomico di Teheran e le sue conseguenze: la chiusura dello Stretto di Hormuz, il collo di bottiglia marittimo attraverso cui passa un terzo del petrolio mondiale, da parte degli iraniani; gli attacchi di rappresaglia contro Israele; l’intero quadrante mediorientale destabilizzato. Sanno che in caso di attacco la produzione di petrolio subirà un rallentamento generale e non vogliono che – come minaccia Teheran – il prezzo schizzi oltre quota 200 dollari e provochi un infarto all’economia mondiale". 

La forza di Hyundai

Tra i punti di forza della Hyundai, il gruppo coreano diventato quarto maggiore produttore di auto del mondo (7 milioni di auto previste per il 2012), una forte catena del valore interna: l'azienda si fa da sola l'acciaio in un impianto da 11 miliardi di dollari della Hyundai Steel, mentre Mobis, la divisione componentistica, assemblea e rifornisce interi moduli, come la scocca. Il presidente-azionista di controllo Chung Mong-koo passa per essere ossessionato dalla qualità. Ha 74 anni, presto potrebbe lasciare il controllo al figlio. Quest'anno l'azienda ha aperto la sua prima fabbrica  sudamericana, in Brasile. Ora copre tutti i principali mercati del mondo.

martedì 8 maggio 2012

L'Iran vende petrolio in yuan

L'Iran ha iniziato ad accettare pagamenti in yuan sul petrolio che vende alla Cina. In parte è uno degli effetti delle sanzioni subite dal Paese per il suo programma nucleare. Teheran usa gli yuan per comprare prodotti e servizi dalla stessa Cina. Secondo le stime l'Iran vende alla Cina petrolio per circa 30 miliardi di dollari all'anno. 

sabato 5 maggio 2012

Il Giappone rimane senza centrali nucleari

Oggi il Giappone spegne il suo ultimo reattore nucleare. Gli altri li ha fermati, uno dopo l'altro, nei mesi dopo l'incidente di Fukushima. Sono stati fermati per controlli, hanno superato i controlli, ma non sono più stati riattivati. Il governo ha compensato il crollo di forniture energetiche importando petrolio e gas (ha speso 4.700 miliardi di yen per questo, cioè 45 miliardi di euro). Il governo conta di riaccenderne comunque la metà prima dell'estate, per non rischiare un collasso delle forniture.

venerdì 4 maggio 2012

Lo shale gas fa chiudere i pozzi

Le compagnie americane stanno iniziando a tagliare la produzione di gas naturale, perché i prezzi sono scesi troppo. Nel primo trimestre hanno tagliato quasi tutti. Compresi Exxon, Encana e Conoco, che hanno promesso nuovi tagli per questi mesi. I prezzi del gas naturale, che il 19 aprile hanno toccato la quotazione più bassa da settembre 2001, sono aumentati del 18%, a 2,25 dollari per 300 metri cubi (o per British thermal unit).

giovedì 3 maggio 2012

Free si mangia i clienti di france Telecom


L'arrivo sul mercato della telefonia mobile francese di Free, operatore low cost, ha fatto perdere a France Telecom 615mila clienti nei primi tre mesi dell'anno. Un periodo durante il quale i profitti sono scesi dell'8,1%, a 3,4 miliardi, e le vendite diminuite del 2,7%, a 10,9 miliardi.

La Svizzera rischia una bolla immobiliare


Secondo Ubs in Svizzera c'è il rischio che esploda una bolla immobiliare. L'indice Swiss Real Estate Bubble è salito nel primo trimestre di 0,15 punti, a 0,95, a un passo dall'1 che indica la soglia di pericolo. Una quota che, secondo la banca, sarà superato in questo trimestre. L'indice, ricalcolato fino al 1982, aveva raggiunto il massimo di 2,5 punti all'inizio degli anni Novanta, al momento del picco dell'ultima bolla immobiliare elvetica.

mercoledì 2 maggio 2012

Parma al voto


A Parma il governo dei tecnici è arrivato un po’ prima che a Roma, e adesso che i politici stanno tornando in città c’è chi preferirebbe farli aspettare ancora qualche anno. “Per me possono anche confermare Ciclosi che forse è meglio” conferma anonimo, a pochi giorni dal voto per il nuovo sindaco, un parmigiano di un’antica famiglia del centro. Ciclosi di nome fa Mario ed è il commissario straordinario mandato a Parma lo scorso novembre dal presidente Napolitano per sostituire un altro commissario, Anna Maria Cancellieri, diventato ministro dell’Interno. Perché Parma è una città commissariata da settembre del 2011, quando Pietro Vignali ha lasciato il municipio travolto da una tempesta giudiziaria con accuse di tangenti e corruzione che hanno colpito prima alti funzionari comunali e delle municipalizzate, dopodiché alcuni stretti collaboratori del sindaco e, infine, quasi tutta la giunta, esclusi solo il primo cittadino e un assessore. Ristrutturazioni di casa in cambio di lavori sul verde pubblico, il capo dei vigili che si scusa con il re del Parmacotto per una multa, appalti “corretti” per favorire la Pizzarotti, uno dei giganti italiani delle costruzioni. Sono storie di mazzette di provincia, quelle tirate fuori dal procuratore Gerardo Laguardia, quasi imbarazzanti per la loro grettezza in una città che anche quando ha dovuto dare scandalo lo ha fatto in grande, sconcertando il mondo con la vicenda Parmalat.
Parma è stata capitale per più di tre secoli, per questo si sente in diritto di essere trattata da “grande”. È stata proprio la voglia di grandezza ad avere fatto la fortuna (e forse avere segnato anche la fine) della forza politica che ha governato la città negli ultimi 14 anni. Alle comunali del 1998, Elvio Ubaldi, sostenuto dalla lista civica Civiltà Parmigiana e appoggiato dal centrodestra, mandò all’opposizione per la prima volta nella sua storia la sinistra parmigiana. Gli otto anni di Ubaldi hanno cambiato la città con una serie di “grandi opere” locali (ponti, tangenziali, ristrutturazioni di quartieri, addirittura il progetto di una metropolitana) consentite da una disponibilità finanziaria non comune e da nuovi fondi arrivati da Bruxelles, che ha basato qui in Emilia la sua Autorità alimentare europea. La grandeur ubaldiana inorgogliva i parmigiani, che infatti nel 2002 hanno confermato il sindaco direttamente al primo turno e nel 2007 hanno dato fiducia al suo “prescelto”, Vignali, allora soprannominato “quello delle rotonde” perché, da assessore, piazzava rondò al posto degli incroci per favorire la viabilità. Nella rossa Emilia, la sinistra per quasi 15 anni non ha più toccato palla solo a Parma. La mattina del voto, 5 anni fa, la Gazzetta di Parma si schierò apertamente con Vignali, contro l’avversario Alfredo Peri, assessore regionale ai trasporti che chiedeva di coordinare meglio i piani della città con quelli della Regione. Se Parma deve discutere i suoi piani con qualcuno, scriveva il direttore Giuliano Molossi, lo farà con le grandi capitali europee, non certo con Bologna.
Stavolta la Gazzetta non si schiera. La fine triste della gestione Vignali, che pure ha introdotto novità importanti come quel “Quoziente Parma” che è diventato modello nazionale di tassazione a favore delle famiglie, ha lasciato cantieri da finire, una certa quantità di debiti (tra Comune e controllate si parla di circa 600 milioni) e molta amarezza. La competizione elettorale è un trionfo di già visto. Il favorito è Vincenzo Bernazzoli, presidente della Provincia (ancora in carica) da quasi 10 anni, uscito vincitore dalle difficili primarie della sinistra. Sostenuto da Pd, Idv, Comunisti italiani e quattro liste civiche, Bernazzoli non è esattamente una figura di discontinuità, ha gestito la Provincia collaborando spesso con gli amministratori comunali del centrodestra ed è considerato esponente di una sinistra riformista. Su uno dei punti chiave della campagna, la costruzione di un inceneritore a 4 chilometri dal centro, la pensa più o meno come il suo principale rivale: bisogna farlo. Il rivale, che nei sondaggi sta 20 punti indietro rispetto al 45% del candidato di sinistra, è di nuovo Ubaldi, sostenuto dall’Udc e pronto a riprendere il suo posto in municipio. Come slogan della campagna si è scelto “ritorno al futuro”, ma ovviamente il vecchio sindaco non gode più della popolarità di quando ha lasciato. Ubaldi dovrebbe comunque raccogliere il grosso dei voti del centrodestra: Paolo Buzzi, ex vicesindaco candidato del Pdl, sembra destinato a non arrivare al 10%, mentre la Lega dovrebbe fermarsi al 7% e la lista civica dell’ex assessore Roberto Ghiretti è data sotto al 5%. A sinistra, Bernazzoli deve invece guardarsi dall’attivismo del Movimento 5 Stelle (che candida Federico Pizzarotti, cognome poco fortunato per chi aspira ad essere un candidato antisistema) e dal seguito di Roberta Roberti, la candidata di Parma Bene Comune, una lista civica nata dal movimento che nei mesi della crisi politica manifestava quotidianamente sotto i portici del Comune. Probabile si arrivi al secondo turno, dove i giochi potrebbero essere più aperti di quanto sembri. Anche se l’aria di cambiamento da queste parti soffia così debole e odora tanto di austerità che dalle urne potrebbero uscire parecchie sorprese.