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giovedì 26 aprile 2012

Nuovi elementi sullo shale gas

- Nel suo discorso sullo Stato dell'Unione, Barack Obama ha detto che lo shale gas ha generato 600 mila posti di lavoro negli Stati Uniti.

- Molto del merito dello sviluppo dello shale gas va a George Mitchell, bizzarro imprenditore figlio di un immigrato greco, che ha perfezionato assieme alla sua squadra la tecnica della fratturazione idraulica. Nel 2022, Mitchell ha venduto la sua società alla Devon Energy, specializzata nella perforazione orizzontale. La combinazione delle due tecniche ha permesso il boom dello shale gas.

- Le stime dicono che scavare un pozzo per lo shale gas in Polonia costa tre volte un identico pozzo in America.

mercoledì 25 aprile 2012

I debiti di Congqing

Secondo stime del Wsj  la città di Congqing, quella di Bo Xilai, ha accumulato debiti per 346 miliardi di yuan (54 miliardi di dollari). Sono soldi utilizzati per ricapitalizzare le banche, costruire autostrade e ponti, relalizzare altri progetti per spingere la crescita e attirare investimenti internazionali. Dalla cifra sono esclusi i debiti delle imprese statali della città. Gli analisti dicono che il passivo totale potrebbe superare i 1000 miliardi di yuan. La spesa ha però dato i suoi risultati: il Pil di Conhgqing, 29,2 milioni di abitanti (16,1 in città e 13,1 nell'area rurale) l'anno scorso è salito del 16,1%,  7 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale.

L'Eiti chiede più trasparenza nel mercato del petrolio

La Extractive Industries Transparency Initiative (Eiti), organizzazione nata 10 anni fa da un gruppo di imprese e di enti pubblici con l'obiettivo di migliorare la trasparenza del mercato delle risorse naturali, vuole imporre maggiore trasparenza nei rapporti tra le compagnie petrolifere e i trader. Complicherebbe molto la vita ai colossi del trading sulle risorse, come Vitol, Glencore, Trafigura, Mercuria e Gunvor. Lo dice il Ft.

martedì 24 aprile 2012

Allarme sui prestiti d'onore degli studenti americani

Il 1° luglio negli Stati Uniti, dice il Ft, i tassi di interesse di alcuni dei prestiti d'onore agli studenti (crediti garantiti dal governo) aumenteranno dal 3,4 al 6,8%. I prestiti d'onore in America valgono mille miliardi di dollari, e secondo il Consumer Financial Protection Bureau sono il secondo maggior passivo privato dopo i mutui, ma davanti alle carte di credito e ai prestiti personali. Gli ultimi laureati hanno in media debiti per 25 mila dollari. Il Congresso potrebbe evitare l'aumento dei tassi estivo con un intervento da 6 miliardi di dollari. 

Il crollo degli investimenti immobiliari

Secondo i dati dell'Ance gli investimenti in abitazioni in Italia sono tornati ai livelli che avevano nel 2000; in cinque anni (2008-2012) il livello degli investimenti in costruzioni (tutti i comparti) "si è ridotto del 40,4 per cento in termini reali". Crollo in ogni segmento: abitazioni -18,6%, nuove case -40,4%, non residenziale -29,5%, con la parte privata che vede un -23,3% e quella pubblica -37,2%. L’unico segmento che ancora si salva (forse grazie alla detrazione fiscale del 36 per cento) è quello della manutenzione straordinaria (più 6,3 per cento negli ultimi cinque anni), che però è il segno tangibile di una ritirata nell’ultima trincea rimasta, quella della propria abitazione". Il numero di compravendite, dopo aver raggiunto il picco di 869 mila, è rapidamente sceso di oltre il 30 per cento e nel 2012, secondo l’Ance, dovrebbe attestarsi sotto la fatidica soglia dei 600 mila.

lunedì 23 aprile 2012

"Il mondo è già cambiato Usa leader nel nuovo gas "


Il mio pezzo da Avvenire di domenica

N
 Star, la maggiore compagnia elettri­ca del Massachussets, a febbraio ha annunciato un taglio del 34% della bolletta dei suoi clienti industriali: dal 1° a­prile le aziende che rifornisce pagano l’elet­tricità 5,5 invece che 8,3 centesimi di dollaro al kilowattora. La utilitynordamericana ha promesso un taglio anche ai clienti domesti­ci, che per ora dovranno accontentarsi di u­no sconto del 27% sul gas. Qualche settima­na dopo, a Roma, l’Autorità per l’energia e­lettrica ha comunicato agli italiani che il prez­zo dell’elettricità sarebbe salito del 5,8%, a 18,3 centesimi di euro per kWh. Le aziende i­taliane pagano la luce poco meno dei normali cittadini, in media 16 centesimi per kWh. È quasi quattro volte la tariffa garantita da NStar. L’America taglia e l’Italia (ma più in generale l’Europa) stanga. Succede perché nel Nuovo mondo hanno trovato qualcosa che nel Vec­chio mondo ancora non sanno se c’è: losha­le gas . Il gas che si ottiene dagli scisti bitumi­nosi (vedi box a fianco) ha cambiato in pochi anni lo scenario energetico mondiale. Con benefici, almeno per il momento, tutti ame­ricani. Gli Stati Uniti hanno scoperto di ave­re una riserva di gas naturale 'non conven­zionale' da 23 mila miliardi di metri cubi. Ba­sterebbe a coprire il fabbisogno nazionale per più di un secolo. È tanto gas ed è gas a basso prezzo. Se NStar può tagliare le tariffe è per­ché la maggioranza degli impianti di genera­zione di energia elettrica del Massachussets funziona a gas, e il costo del gas in America è crollato dai 14 dollari per 300 metri cubi del 2008 fino sotto ai 2 dollari (-85%). Un prezzo che sta scombussolando l’industria energeti­ca nazionale: gli impianti a carbone ormai non sono più economicamente sostenibili mentre le stesse compagnie che estraggono gas naturale con i vecchi metodi sono co­strette a chiudere quei pozzi che, a questi prez­zi, producono in perdita. Mentre gli americani si godono un mondo che sta cambiando tutto a loro vantaggio, gli altri sono costretti ad aggiornare i loro pro­getti. Senza che la cosa fosse troppo notata, nel 2011 gli Stati Uniti sono diventati il primo produttore mondiale di gas naturale (con 684 miliardi di metri cubi estratti) rubando il po­sto alla Russia (che si è fermata a circa 634 mi­liardi di metri cubi). Si parla di energia, ma anche di potere. Mosca vende gas naturale ai suoi poco amati 'vicini' – come Polonia e U­craina – con prezzi attorno ai 17 dollari per 300 metri cubi, 8 volte il prezzo americano.

Gli Usa, molto avanti nelle tecniche di liqui­dazione e rigassificazione, potrebbero inter­venire. Ha previsto Fareed Zakaria, uno dei più autorevoli editorialisti economici statu­nitensi, che «alla scadenza dei contratti tra Russia e Paesi europei, Mosca si ritroverà a fronteggiare un drammatico calo nelle en­trate », e presto «si passerà da un mondo in cui pochi Paesi – Russia, Iran, Qatar e Arabia Saudita – controllano il prezzo e le forniture di gas naturale a un mondo in cui questa fon­te energetica sarà molto più diffusa».

Il miglior esempio delle imprevedibili novità nello scenario energetico mondiale viene da un progetto su cui già stanno lavorando in A­laska (Stato in cui si trova il 13% delle riser­ve americane dello
 shale gas): l’idea è realiz­zare una condotta che porti il gas verso sud, dove si dovrebbe costruire un impianto che lo riduca allo stato liquido così da poterlo ca­ricare sulle navi cisterna e trasportarlo fino in Cina, dove oggi il gas naturale si paga 15,5 dollari per 300 metri cubi, 7 volte la quota­zione Anche Pechino però vuole il suo gas a basso prezzo. Le stime dicono che la materia prima c’è: le riserve cinesi di gas non convenziona­le sarebbero di circa 25 mila miliardi di metri cubi, anche maggiori di quelle degli Stati U­niti e i inferiori solo a quelle di Argentina, Mes­sico e Australia, altre regioni ricche di shale gas. Il problema è che estrarre il nuovo gas è molto complicato e oggi nessuna compagnia cinese sa farlo. Difatti il colosso nazionale Si­nopec ha investito 2,5 miliardi in un’alleanza con la statunitense Devon Energy per acqui­sirne le competenze. Anche l’italiana Eni è in cerca di shale gas in Cina. Il suo obiettivo prio­ritario resta però il gas non convenzionale eu­ropeo (le riserve sono stimate in 18 mila mi­liardi di metri cubi): ce ne sarebbe soprattut­to in Piccardia (nella Francia del Nord), in U­craina e in Polonia. Ma prima la Francia, lo scorso novembre, e poi la Bulgaria, a gennaio, hanno deciso di fermare le esplorazioni. Han­no bloccato tutto per ragioni ambientali: la tecnica del fracking che si usa per rompere gli scisti e liberare il gas prevede il pompaggio sotteranneo di liquidi che includono anche sostanze chimiche sospettate di inquinare le falde acquifere. È un sospetto, appunto: solo nell’ultimo mese in America l’autorità am­bientale Epa ha finito per rimangiarsi tre do­cumenti in cui accusava alcune aziende di a­vere inquinato l’acqua. Nuovi test dimostra­no infatti che l’inquinamento non c’è stato. E nel Regno Unito il Dipartimento per l’energia e il cambiamento climatico ha da poco con­cesso il riavvio delle esplorazioni nei mari del Nord.

Nel dubbio, l’Europa vuole limitare le ricerche. Col rischio di danneggiare soprattutto la Po­lonia, che è già in uno stato abbastanza a­vanzato di esplorazione. Varsavia ha già fatto capire che non è disposta a fermarsi. Nem­meno davanti alle prime delusioni: Exxon , tra le prime ad avviare le esplorazioni, a gennaio ha annunciato che i due primi pozzi non so­no in grado di dare gas in quantità che possa giustificare la loro esistenza e l’istituto geolo­gico polacco ha tagliato le stime sulle riserve dell’85%, da 5,3 milioni a 800 mila metri cu­bi. Ma le ricerche vanno avanti. La Polonia vuole essere la prima, in Europa, ad emanci­parsi dagli equilibri geopolitici dell’energia del Novecento.
 

14 mila miliardi contro la Crisi

Calcola Cnbc che da quando è iniziata la recessione gli stati hanno speso 14 mila miliardi di dollari per combattere la crisi. Giovedì la Banca del Giappone optrebbe dare nuove indicazioni su un possibile aumento della sua strategia monetaria espansiva. La Fed tiene i tassi ai minimi e anche la Bce potrebbe pensare a un altro taglio. E pure la Banca centrale cinese taglia gli interessi per spingere la crescita. 

Segni di crisi

Gli indicatori della crisi in corso, secondo il Sole 24 Ore



venerdì 20 aprile 2012

L'affitto con opzione di acquisto

Mentre il mercato immobiliare italiano dà salutari segni di stanchezza, si inizia a diffondere il contratto di locazione con patto di opzione di acquisto (detto anche locazione con riscatto). E' un contratto classico con allegata una scrittura privata che prevede un'opzione d'acquisto. Il locatore concedete al conduttore il diritto di opzione sull'acquisto dell'immobile, accettando i canoni come fossero un acconto sulla vendita. Per convincere i proprietari spesso gli si concede anche un anticipo (tipo il 10% del prezzo stabilito).

La storia dei rating

I giudizi sui debiti sovrani che contano dal 1970 a oggi.Fonte Fmi.




martedì 17 aprile 2012

I soldi che tornano dall'Opec

Secondo un'analisi dell'Agenzia internazionale dell'energia per ogni dollaro che gli Stati Uniti hanno speso per importare petrolio dai Paesi dell'Opec, nel 2011 sono tornati indietro (attraverso l'acquisto di prodotti made in Usa da parte dei cittadini dei Paesi Opec) 34 centesimi. Il dato è molto inferiore rispetto alla media 1970-2000, che vedeva tornare in Usa 55 centesimi per ogni dollaro dato all'Opec. Ancora peggio il Giappone: tornano 14 centesimi per ogni dollaro, contro una media storica di 43. Va invece benissimo l'Europa, alla quale tornano 80 centesimi per dollaro (come nella sua media storica), e va bene la Cina, con un ritorno di 64 centesimi (in passato non le tornava nulla).

Paulson gioca contro l'Europa

John Paulson, il 56enne titolare del fondo Paulson & Co., avrebbe detto ai suoi cilenti che sta scommettendo contro i titoli sovrani europei e si sta proteggendo con i Cds. Il fondo hedge di Paulson ha in gestione 24 miliardi di dollari e lo scorso anno ha perso il 51% scommettendo sula ripresa americana. Paulson è sicuro che l'euro presto scomparirà.

sabato 14 aprile 2012

La caduta delle Borse del 13 aprile


Gli investitori stanno scommettendo pesantemente sul fallimento della Spagna. Dall’inizio di marzo tutti vogliono i credit default swap (Cds) iberici, quei titoli che garantiscono un rimborso nel caso che Madrid non sia in grado di onorare i suoi debiti. All’inizio di marzo assicurarsi contro l’insolvenza spagnola costava 355 dollari per ogni 10 mila dollari di credito, dopo 15 giorni il prezzo è salito fino a oltre i 400 dollari, ieri ha superato i 500, toccando un nuovo record. Quello precedente, 492, era stato segnato lo scorso novembre, nel peggior momento della crisi del debito europeo. In quelle settimane i Cds italiani erano arrivati a superare i 590 punti e l’Italia fino a ieri era l’unica nazione dell’euro che aveva visto i suoi Cds superare quota 500 ma non aveva dovuto chiedere aiuti internazionali (come invece hano fatto Grecia, Portogallo e Irlanda). Adesso i nostri Cds costano 428 dollari, 70 in più rispetto all’inizio di marzo, ma sopra quota 500 c’è appunto Madrid.
Da qualche giorno il governo guidato da Mariano Rajoy è costretto a smentire che la Spagna debba essere salvata, eppure la voce di un imminente piano di salvataggio continua a circolare. Il principale problema è che il governo ha comunicato dati sul debito pubblico che però non comprendono quelli delle Regioni, e senza informazioni più complete l’Europa continua a dubitare dell’efficacia del piano di risanamento dei conti spagnolo. La credibilità del nuovo premier iberico nel mondo finanziario sta scendendo tanto che ieri il <+corsivo>Wall Street Journal<+tondo> gli ha dedicato un duro editoriale. Basta il titolo: «Pollyanna in Madrid». Un dato, poi, ha fatto ulteriormente salire la tensione: a marzo le banche spagnole hanno raddoppiato la loro richiesta di fondi alla Banca centrale europea, ottenendo 227 miliardi di euro sui 361 messi a disposizione da Francoforte. E questo dopo essere state in prima fila nell’attingere alle aste a tasso scontato con cui la Bce ha concesso alle banche mille miliardi tra dicembre e febbraio. Sembra, insomma, che gli istituti di credito iberici, in serissime diffiicoltà per avere gonfiato la bolla immobiliare nazionale, non riescano a raccogliere fondi sul mercato se non chiedendoli alla Bce.
Il nuovo allarme ha spinto in alto di altri 16 punti i tassi dei Bonos spagnoli (al 5,98%), con gli italiani che li seguono a distanza sentendo la tensione (5,52%, 12 punti in più). Il nostro <+corsivo>spread<+tondo> rispetto ai Bund tedeschi è salito da 362 a 379 punti, quello spagnolo è salito fino a 424 punti.
Le Borse sono crollate, anche in vista del probabile taglio di rating delle banche europee da parte di Moody’s, che però è stato rimandato: alle italiane doveva toccare lunedì, ma a mercati chiusi l’agenzia ha annunciato una modifica dell’agenda, rinviando tutti a maggio. I titoli bancari (-6% Unicredit, -4,8% Intesa) hanno affondato Milano, che ha perso il 3,4% bruciando 11 miliardi di capitalizzazione. Giù del 3,6% Madrid, -2,5% Parigi, -2,4% Francoforte e -1% Londra. Male anche Wall Street, che vede peggiorare lo scenario globale: ieri sono arrivati cattivi dati sulla fiducia dei consumatori americani e sulla crescita cinese (il Pil salirà dell’8,1% invece dell’8,4% previsto).
In questo contesto estremamente complesso, per l’Italia c’è anche il altro rischio di perdere il controllo delle aziende, ha avvertito un allarmato Giovanni Perissinotto, amministratore delegato di Generali: «La Borsa non funziona – ha detto il manager –, bisogna cambiare le regole. C’è troppa speculazione e i prezzi sono preoccupanti, con le aziende sottovalutate in maniera pericolosa e attaccabili dall’estero».

I Benetton e la fine delle idee


Quando una grande azienda rimane senza idee le viene difficile nasconderlo. Se Benetton, che mesta mesta se ne sta andando da Piazza Affari, contava di riuscire a nascondere la sua crisi creativa, ormai è tardi. Ieri il Financial Times, il quotidiano più ascoltato dagli investitori europei, ha chiarito qual è il cattivo stato di salute dell’azienda. Lo ha fatto partendo proprio dalla blasfema campagna pubblicitaria dello scorso novembre, quel fotomontaggio di un bacio tra Benedetto XVI e Ahmed Mohamed el-Tayeb, imam della moschea di Al-Azhar al Cairo. È stata una brutta idea che, scrive l’editorialista Tony Barber, ha mostrato una tale «triste assenza di creatitivà» da diventare un regalo di Natale per i rivali svedesi di H&M o per gli spagnoli di Zara. Quella campagna, aggiunge Barber, «evidenzia quella più generale mancanza di immaginazione che per anni ha schiacciato i profitti e fatto a pezzi il valore azionario di un’azienda una volta ammirata per l’innovazione». La Benetton si trova infatti con un modello di business ormai «obsoleto», i suoi negozi in franchise la tengono più lontana dai clienti e le impediscono di tenere il passo dei più giovani rivali di Zara ed H&M, che invece sono proprietari dei loro negozi. Ora Benetton ha urgente bisogno di una «ristrutturazione» e magari, suggerisce Barber, «sbarazzarsi di pubblicità choc provocatorie rappresenterebbe un buon inizio».

da Avvenire

Le vendite di computer negli Stati Uniti e nel mondo


venerdì 13 aprile 2012

Il petrolio c'è, anche senza Iran

Secondo l'Agenzia internazionale dell'energia, "il ciclo di fondamentali che,dal 2009, si inaspriscono, per ora si è interrotto" e quindi sul mercato del petrolio dovremmo vedere prezzi stabili o al ribasso. Secondo alcuni analisti - in particolare - in estate potremmo vedere prezzi dei carburanti più bassi.Gli stoccaggi globali durante il primo trimestre sono aumentati di 1,2 milioni di barili al giorno, segno che il mercato petrolifero potrebbe rimanere bilanciato anche se l'Iran dovesse togliere dal mercato 1 milione di barili al giorno. Secondo le stime della Iea l'Iran nel primo trimestre ha tagliato le esportazioni del 9,7% (350 mila barili in meno nel confronto con un anno fa)

La Cina fa scorta di petrolio

Le importazioni di petrolio cinese hanno raggiunto i 5,57 milioni di barili al giorno a marzo, in aumento dell'8,7% rispetto a un anno fa. Nel primo timestre l'aumento è dell'11% (nel 2011 fu del 6%). Secondo gli analisti Pechino sta aumentando le sue riserve, e questo nonostante i prezzi siano molto alti. Le riserve attuali permettono alla Cina di alimentarsi per 40 giorni, l'obiettivo e arrivare a 90 giorni (quasi come gli Stati Uniti).


dal Wsj

Gli speculatori che aspettano il Maxi-Taglio


Se entro lunedì prossimo Moody’s dovesse tagliare il rating di 24 banche italiane (più o meno tutte quelle più note), questa settimana sarebbe quella giusta per vendere. Almeno per chi in Borsa cerca profitti rapidi ed è pronto a rischiare. Si può spiegare anche così la caduta di Piazza Affari di questo martedì, quel -5% figlio del crollo dei titoli delle banche. Circola infatti un documento elaborato dalla banca d’affari americana Morgan Stanley in cui si indicano le previsioni delle scadenze della revisione dei rating di 114 istituti finanziari europei avviata da Moody’s lo scorso 15 febbraio. Sono divise per nazionalità. Per le banche portoghesi la scadenza era il 26 marzo ed è stata rispettata col taglio del rating per tutte le 7 banche coinvolte. Il 16 aprile dovrebbe toccare alle banche italiane, il 23 a quelle spagnole, il 30 alle austriache. Per le altre le scadenze sono il 7 e il 14 maggio. Ovviamente non è detto che il taglio tocchi a tutti, ma considerato il peggioramento del contesto sembra probabile. Dopo gli antipasti delle critiche alle nostre banche pubblicate da New York Times, Wall Street Journal e Bloomberg nei giorni scorsi, un declassamento collettivo delle banche potrebbe essere il piatto forte da servire al banchetto della speculazione, dove chef e invitati sono tutti (o quasi) molto yankee.

da Avvenire

giovedì 12 aprile 2012

Boldrin spiega a Giarda dove tagliare la spesa pubblica


"Vi sono in Italia circa 50mila persone, dal segretario comunale di Abbiategrasso al Presidente della Repubblica passando per il capo della polizia di stato ed il presidente della municipalizzata di casa vostra, che costano (in stipendi e benefici materiali) tra il triplo ed il quintuplo (ho scritto giusto: dal 300% al 500%) di quanto i loro analoghi costino in paesi, come la Spagna, che hanno una struttura istituzionale simile alla nostra ed un reddito per capita identico al nostro. Ho fatto due conti non del tutto inventati e sono fra i 5 ed i 7 miliardi di euro all’anno. Sono, di fatto, costi della politica e non ho incluso il finanziamento illegale ai partiti noto come “rimborsi elettorali”. Non è tanto, ma messi assieme fanno lo 0,5-0,6% del PIL di spese (ossia tasse) in meno. Qualche impresa ringrazierebbe. Scendiamo di un gradino nella scala gerarchica e parliamo degli stipendi pubblici. Dice bene Piero Giarda: da due anni, salvo promozioni interne, non sono aumentati. Ma erano aumentati moltissimo prima (leggere relazioni Banca d’Italia) e nel frattempo sono diminuiti sia i redditi degli italiani nel privato che quelli dei dipendenti pubblici nei paesi che si son trovati a fare i conti con una crisi fiscale. Detto altrimenti, caro Piero, abbi il coraggio che i tuoi colleghi in Spagna, Inghilterra e California hanno avuto: taglia (non linearmente ma progressivamente) gli stipendi pubblici in modo tale da riallinearli, in % di quelli del settore privato, al livello del 1995. Ho fatto due conti a spanne, ed è un altro 0,8-0,9% del PIL. Poca roba? Forse, ma siamo già ad una riduzione d’imposte dell’1,3-1,5% del PIL".

di Michele Boldrin, da linkiesta

La Morante richiama il marito "per non perdere il finanziamento pubblico"

Quando si ci chiede dove c'è spazio per tagliare la spesa pubblica italiana, si può leggere un'intervista come quella di Laura Morante alla Stampa. Spiega lei che per il film Ciliegie, dove è sceneggiatrice, produttrice, regista e protagonista "una settimana prima dell’inizio delle riprese, in tutta fretta, per non perdere il finanziamento pubblico, abbiamo dovuto inventarci perfino una nostra casa di produzione aggiuntiva. Una operazione rischiosissima". "Il coproduttore italiano inventato lì per lì dalla Morante - spiega la Stampa - è suo marito Francesco Giammatteo, architetto nonché padre del suo ultimo figlio".

mercoledì 11 aprile 2012

La svalutazione europea

Due analisi di Goldman Sachs spiegano che per ottenere una bilancia commerciale sostenibile il Protogallo ha bisogno di ottenere una riduzione reale del suo tasso di cambio del 35%, la Grecia del 30%, la Spagna del 2'% e l'Italia del 10-15%. L'Irlanda è invece già tornata competitiva. Con un'inflazione media del 2% nella zona euro, cioè prezzi su del 4% nelle economie forti e prezzi fermi nelle economie non competitive il Portogallo e la Grecia avrebbero bisogno di 15 anni per completare l'aggiustamento svalutativo, la Spagna di 10, l'Italia di 5-10 anni.


dal Ft

I problematici prestiti agli studenti americani

A febbraio un rapporto del Nacba, l'associazione americana degli avvocati fallimentari, ha evidenziato che il debito per prestiti studenteschi è ormai maggiore di quelli delle carte di credito e degli acquisti di automobili. [...] Spesso, proprio perché non trovano lavoro, i giovani americani si iscrivono di più all'università: tra 2008 e 2009 c'è stato un aumento del 45 per cento. Di media uno studente statunitense che frequenta un'università pubblica si laurea contraendo un debito di ventimila dollari. Se frequenta un'università privata tra i 27.650 e i trentatremila dollari. Non solo il Nacba ma anche Standard & Poor's e Moody's stanno paventando la possibilità di una crisi sul debito studentesco. Altre cifre sono quelle presentate dal dipartimento dell'Educazione, secondo le quali il tasso di mora tra chi ottiene un prestito a fini di istruzione è passato dal 7 per cento nel 2008 all'8,8 del 2009. L'ammontare totale dei debiti degli studenti nel 2009 superava i 100 miliardi di dollari. 


dal Foglio

I numeri della spesa pubblica italiana

Il ministro Piero Giarda, che oggi sta lavorando sui tagli alla spesa pubblica italiana, lo scorso anno aveva elaborato un rapporto pieno di dati sull'argomento. Nel 1951 la spesa pubblica in Italia era pari al 23,6% del Pil, nel 2010 ha raggiunto il 51,2%. Se dai 793 miliardi di spesa del 2010 si tolgono pensioni, previdenza, contributi alla produzione e interessi rimangono 254 miliardi, contro i 113 miliardi del 1970. La spesa è quindi più raddoppiata in quarant'anni e aumentata del 39% in più dei consumi privati. La spesa per investimenti nel frattempo è scesa dal 16,5% del totale del 1951 all'attuale 6,8%. La spesa per gli stipendi degli statali vale il 56,6% della spesa per consumi finali dello Stato, per un totale di 171 miliardi di euro nel 2010. Tra il 2000 e il 2008 il numeri di dipendenti pubblici è rimasto quasi invariato (da 3.524 a 3.611 milioni) ma la retribuzione media è passata da 24.741 a 33.746 euro pro capite lordi, in aumento del 36,4%.

I tagli di spesa del Regno Unito


"L'Inghilterra il punto di riferimento per operazioni del genere, come da tempo suggerisce la Banca d'Italia ora governata da Ignazio Visco e in passato da Mario Draghi. I cardini della spending review inglese, introdotta nel '98 e proseguita con altri round nel 2000, 2002, 2004, 2007 e 2010, sono i piani triennali di spesa, la netta separazione tra spesa in conto capitale (per investimenti) e spesa corrente e l'introduzione dei cosiddetti accordi sui servizi pubblici (Public service agreements, Psa), che definiscono i traguardi misurabili nei programmi di spesa pubblica del governo. Gli effetti positivi sono stati superiori alle attese. In un report datato 1998 del ministero del Tesoro si dimostra che il risparmio complessivo nel settore pubblico è stato pari, nel dicembre 2007, a 23.180 miliardi di sterline, contro i 21.480 miliardi programmati.
I round non sono finiti. Il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha fissato il budget di spesa per i vari ministeri fino al 2014-15. Gli obiettivi prevedono tagli alla spesa pubblica per 81 miliardi di sterline dal 2011 al 2015; riduzioni ai ministeri per un importo medio pari al 19 per cento; diminuzione di 7 miliardi di sterline alle spese per il welfare state, inclusi i benefici fiscali e taglio del 7 per cento agli enti locali. Il fine non secondario del piano del governo inglese è anche quello di asciugare il personale statale. A regime infatti, si legge nel report dei tecnici di Palazzo Madama che viene compulsato anche a Palazzo Chigi, il governo ha calcolato che, durante il periodo considerato, il settore pubblico vedrà una riduzione di 490.000 dipendenti pubblici".

di Michele Arnese, su Italia Oggi

martedì 10 aprile 2012

I conti giusti dell'Europa

La Spagna dice di avere un debito pubblico di 732 miliardi di dollari su un Pil di 1.295 miliardi. In realtà il debito interno spagnolo deve comprendere anche i 183 miliardi di debito regionale, i 103 miliardi di debito bancario garantito e i 72 miliardi di debito sovrano con garanzia. In totale ammonta così a 1.090 miliardi. Se si9 considerano anche i 643 miliardi di debito europeo della Spagna (per il budget Ue, per liabilities verso i fondi e verso la Bce) la cifra sale a 1.733 miliardi, il 133,8% del Pil. L'analisi è della Phoenix Capital Research, che applicando gli stessi criteri vede un debito pubblico tedesco al 139,8% del Pil e un debito francese al 146% del Pil.

di Mauro Bottarelli, da Finanza e Mercati
Jim Yong Kim, il candidato di Obama per la guida della Banca Mondiale, una volta ha ammesso di "non avere avuto idea di cosa fosse un hedge fund" fino a tre anni fa, quando prima di diventare presidente del Dartmouth College ha fatto un corso lampo di due giorni in finanza. Lui è laureato in fisica e antropologia. Il Wsj ha studiato i suoi articoli pubblicati sulle riviste scientifiche negli ultimi dieci anni: si occupano quasi tutti di sanità e lamentano gli scarsi aiuti sanitari che i paesi ricchi danno a quelli più poveri. I possibili rivali di Kim sarebbero Ngozi Oknjo-Iweala, ministro delle Finanze nigeriano, e José Antonio Ocampo, ex ministro colombiano.

lunedì 9 aprile 2012

Cina e Usa, armi a confronto


dall'Economist

I cdo della finanza commerciale

Le banche d'affari temono che le nuove regole sulla finanza restringano molto il mercato della trade finance, quello che sostiene il commercio internazionale. Per questo stanno sperimentando l'impacchettamento dei crediti commerciali in asset simili ai Cdo, le collateralised debt obligations in cui prima della crisi si mettevano assieme mutui di creditori diversi per venderli tutti assieme. Secondo alcune stime, trattando crediti commerciali a tre mesi come un'esposizione di un anno le regole di Basilea III potrebbero triplicare i costi di trade finance. La banca che ha già raggiunto un livello di sperimentazione avanzato è JPMorgan.

dal Ft

domenica 8 aprile 2012

Fallimenti a catena nel fotovoltaico tedesco

Ha chiuso l'americana Solar Trust, perché la sua controllante tedesca Solar Millenium è fallita a dicembre, fallito un tentativo di cessione a Solarhybrid, fallita anche lei. A dicembre in Germania fallite anche Solon e Q-Celles. Colpa del taglio ai sussidi e della concorrenza cinese.

Wsj

sabato 7 aprile 2012

Il petrolio che serve a Ryiadh

In Arabia Saudia la domanda di energia sale del 10% all'anno. Così Riyadh è costretta di usare 3 milioni di barili di petrolio al giorno (il 25% della produzione) per i consumi interni. Calcola la Iea che l'Arbia consuma più petrolio della Germania, che ha il triplo di abitanti e un'economia cinque volte più grande. Il problema è che se l'Arabia ha bisogno del suo petrolio l'Occidente vede ridursi la "spare-capacity" araba, con cui Ryadh può venirgli incontro nei momenti di tensioni sul prezzo. Uno studio di Jadwa Investment dice che più o meno attorno il 2020 la spare capacity sarà azzerata e per il 2043 il Paese sarà costretto a tenersi tutto il petrolio che produce.

Wsj

La panflazione


L'Economist evidenzia i rischi della panflazione, che è poi l'aumento generalizzato di ogni cosa. Le taglie dei vestiti, oggi più capienti di un tempo (la 42 di oggi è la vecchia 44 etc.), le porzioni dei cibi e delle bevande, che non esistono più, nel nome, in versione "piccola", e poi le classi degli hotel, i voti degli studenti, i titoli lavorativi (sono tutti manager, sotto diverse forme). La panflazione serve solo a fare sentire meglio clienti. Ma "ogni inflazione svaluta ciò che infetta. Oscura l'informazione e quindi distorce i comportamenti". Diceva Karl Otto Pöhl, un tempo alla guida della Bundesbank: l'inflazione è come il dentifricio, è facile spingerlo fuori dal tubetto, quasi impossibile da rimettere dentro.

venerdì 6 aprile 2012

La Balena di Londra




Per i giganti di Wall Street da quest’estate la vita potrebbe complicarsi molto. A luglio dovrebbe dovrebbe entrare in vigore la "Volcker Rule", la regola – contenuta nel più generale Dood-Frank Act, la riforma della finanza americana – che vieta alle banche d’affari di fare investimenti in Borsa con i loro stessi capitali invece di limitarsi a scommettere i soldi dei clienti. I funzionari della Sec, l’organismo che vigila su Wall Street, da mesi stanno studiando assieme ai colleghi della Federal Reserve come applicare concretamente la nuova regola. L’idea è quella di consentire alcune eccezioni. Le grandi banche d’affari, JPMorgan, Goldman Sachs e Morgan Stanley, stanno facendo pressione per mantenere il massimo grado possibile di libertà.
Ma la storia della "Balena di Londra", raccontata ieri dall’agenzia <+corsivo>Bloomberg<+tondo> e dal <+corsivo>Wall Street Journal<+tondo>, indebolisce duramente le argomentazioni delle banche. La "Balena di Londra" si chiama Bruno Iksil, è francese e dal 2005 lavora a Londra per JPMorgan. Iksil non fa il trader con i soldi dei clienti, ma lavora nella divisione "chief investment office", l’unità che si occupa di gestire il patrimonio della banca americana. È una divisione che non fa scommesse azzardate, ma ha il compito di proteggere gli asset di JPMorgan. Iksil è quindi attivo proprio in quell’ambito di attività bancaria che la "Volcker Rule" punta a ridurre al minimo, se non ad eliminare.
Se lo chiamano la "Balena di Londra" è perché questo trader nelle ultime settimane ha mosso una quantità di denaro impressionante sul suo mercato di riferimento, quello dei <+corsivo>credit default swap<+tondo> (i titoli con cui gli investitori si assicurano contro il fallimento della loro controparte). «Non avevamo mai visto niente del genere» hanno raccontato ai giornalisti i trader di cinque fondi speculativi e di banche d’affari rivali che si sentono danneggiati dalla distorsione dei prezzi che Iksil è in grado di produrre. La Balena avrebbe accumulato una posizione enorme, da 100 miliardi di dollari, sul principale indice americano dei Cds, e con questa massa di movimento le sue operazioni sono in grado di scuotere il listino in maniera violenta. Iksil sarebbe anche riuscito a "rompere" qualcuno dei principali indici dei Cds, creando una disparità tra il valore dell’indice e quello della media dei Cds delle società.

La storia del disastro Kodak

Non è stata la velocità del passaggio dall'analogico al digitale a uccidere Kodak, che a gennaio ha fatto ricorso al Chapter 11, ma la sua lentezza. L'azienda è stata all'avanguardia tecnologica per tutti gli anni '70 e '80 e ha sempre seguito l'evoluzione della tecnologia, ma per molto tempi la necessità del cambiamento tecnologico non è stata considerata sufficientemente urgente da convincere dipendenti, investitori e dirigenti che era il caso di modificare un modo di fare affari consolidato da decenni.

Lo scrive Andrew Hill, sul Financial Times

Contro la turboborsa


I funzionari della Sec stanno indagando sugli effetti che hanno in Borsa i movimenti delle aziende che investono ad altissima velocità. Vogliono capire se hanno vantaggi illeciti sugli altri investitori.

giovedì 5 aprile 2012

Perché la Spagna spaventa i mercati

"Non c'è un dato economico che ispiri ottimismo. L'economia è attesa in frenata dell'1,7% quest'anno. Il tasso di disoccupazione è al 23%. Un giovane su due non lavora. I consumi nel 2011 si sono contratti dell'1,3%. Gli investimenti privati scendono. Il sistema bancario è in crisi, principalmente perché è troppo esposto su un settore immobiliare che dai massimi del 2008 ha registrato prezzi in calo del 25%. Le finanze pubbliche soffrono altrettanto: non solo il deficit 2011 è aumentato all'8,5% del Pil, non solo i conti delle 17 Regioni (che contribuiscono per il 57% alla spesa pubblica) danno l'impressione di essere fuori controllo, ma anche il debito pubblico sta salendo. La Spagna è sempre stata virtuosa su questo fronte, ma ieri il Governo ha annunciato che il debito dello Stato salirà al 79,8% quest'anno. Il rapporto è basso, ma il trend di crescita è preoccupante".


Morya Longo, il Sole 24 Ore, 5 aprile 2012

Lo spaventoso programma economico di Hollande

Tra le proposte economiche del candidato socialista alla presidenza francese ce ne sono alcune molto insidiose. In particolare:



  •  il diritto ad andare in pensione a 60 anni (per chi ha cominciato a lavorare prima dei vent'anni e ha almeno 41 anni di contribuzione).
  • la cancellazione della legge che da ormai cinque anni limita al 50% il turnover nella pubblica amministrazione (un dipendente in uscita ogni due non viene sostituito).
Altre proposte sono problematiche in quanto limitano la libertà privata, diciamo che non sono esattamente soluzioni capaci di portare investimenti a Parigi, e a volte non sono realizzabili:

  • divario massimo di uno a venti per retribuzioni e compensi nelle aziende pubbliche.
  • blocco per tre mesi del prezzo della benzina
  • sovrattassa sulle banche e sulle società petrolifere
  • separazione delle attività commerciali da quelle di investment banking
  • creazione di un'aliquota del 75% sui redditi più alti per la parte superiore al milione.
Alcune sono invece interessanti:
  • I contratti di generazione (esonero totale dei contributi sul contratto di un senior che l'azienda si impegna a tenere al lavoro affiancandogli un giovane)

mercoledì 4 aprile 2012

Il ritorno della paura sui mercati, la spiegazione di Walter Riolfi

dal Sole 24 Ore, 4 aprile 2012


"Due sono stati i motivi che hanno riacutizzato la crisi: le peggiorate condizioni economiche (in Italia, Spagna e persino in Francia) e il dissolversi dei benefici portati dal finanziamento per mille miliardi concesso alle banche dalla Bce (Ltro). La lenta crescita dei rendimenti dei Btp suggerisce che ci si trova davanti più al diradarsi dei compratori che a una vera pressione di vendite speculative. Ad acquistare erano state quasi solo le banche nazionali (con i soldi della Bce), le quali oggi stanno addirittura conteggiando teoriche minusvalenze sui titoli acquistati dopo la fine di febbraio. Il guaio è che non solo non intenderebbero procedere ad altri acquisti, ma alcuni istituti avrebbero pure manifestato l'intenzione di restituire i soldi alla banca centrale prima della scadenza triennale. Tra queste, vi sarebbero UniCredit, Bnp, SocGen e La Caixa, secondo indiscrezioni del Financial Times. Se così fosse, significa che le banche non sanno che fare di tutta la liquidità. E siccome sul mercato dei Cds è aumentato il costo della protezione per gli istituti che hanno attinto liquidità dalla Bce, l'idea di restituire una parte di quel denaro non apparirebbe nemmeno così assurda".

martedì 3 aprile 2012

Groupon peggiora i numeri

Groupon è stata costretta a correggere i suoi numeri: aveva annnunciato di avere chiuso il primo trimestre con 37 milioni di dollari di passivo, invece ne ha persi 22,6 milioni. La novità è che il revisore dei conti, Ernst & Young, ha rilevato che la compagnia non aveva messo via abbastanza soldi per corprire i rimborsi ai clienti. Quotata a 20$ per azione a novembre, ora Groupon ne vale 16.


Wsj

lunedì 2 aprile 2012

L'Epa ritira le accuse sullo shale gas


L'Enviromental Protection Agency ha ritirato la sua dichiarazione con cui accusava Range Resources Corp. di avere inquinato le falde acquifere a Fort Worth, nel Texas, a causa dei gas usati per spaccare gli scisti e ottenere shale gas. A simili conclusioni l'Epa è arrivata anche per pozzi nel Wyoming e in Pennsylvania. 

I soldi tornano alla Bce

Da dicembre le banche possono restituire parte dei fondi avuti dalla Bce con il Ltro. Spiega un manager: "Ci sono due motivi per restituire i soldi in anticipo. Primo, non sarebbe saggio restituire tutto in tre anni. Secondo, abbiamo bisogno di rifinanziamenti con scadenze più lunghe di tre anni". UniCredit, Bnp, Société Générale e la Caixa vorrebbero restituire subito un terzo del denaro. Deutsche Bank e Lloyds intendono invece tenere tutto fino alla scadenza.

La fuga dalle auto di lusso


Marino Longoni, Italia Oggi, 2 aprile 2012
"Secondo i dati Federauto aggiornati al 26 marzo scorso Maserati ha venduto sette modelli nel mese. Un anno fa erano 31 (-77,42%). Ferrari, invece, ha venduto 32 macchine, in confronto alle 52 del 2011 (-38,46%). La tendenza a disfarsi delle auto di lusso, invece, è testimoniata dai numeri diffusi da Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri), dai quali emerge che lo stock di auto usate con potenza maggiore dei 185 kW (quelle soggette al «super bollo») è passato da 25 mila nel dicembre 2010 a 36 mila del gennaio 2012.
A fronte di ciò, il valore dell`usato di lusso è sceso da 23 mila euro di fine 2010 a 17.700 euro del gennaio scorso. Le esportazioni delle vetture potenti usate, invece, sempre secondo i numeri Unrae elaborati sui dati Aci, hanno toccato una quota, sulle esportazioni totali, vicina al 10% (a fine 2010 era di poco sopra 1`1%).
Secondo Romano Valente, direttore generale di Unrae, «la conseguenza della fuga dei clienti di alto livello si ripercuoterà sulle casse dello stato: dei 168 milioni di euro di incasso preventivati dal super bollo, arriveranno infatti solo 63 milioni», sottolinea, «questo per via del calo del 40% delle vendite di autovetture, che genera minor gettito da Ipt, Iva, bollo, senza contare il crollo delle polizze. Bisogna interrompere questa equazione tra fruitore di auto ad alte prestazioni ed evasore".

I mali della Spagna

L'obiettivo della finanziaria spagnola è chiudere il 2012 con un deficit al 5,3% del Pil.  La manovra è da 27 miliardi di euro. Alcuni analisti stimano che l'austerità manderà il Pil spagnolo in calo dell'1,7%. Il taglio della spesa pubblica è del 9,6%.

Il problema vero è la crisi delle banche. Gli istituti di credito hanno un milione di appartamenti che nessuno si compra, i prezzi sono crollati del 22% ma devono andare ancora più giù. Gli analisti calcolano che le banche devono fare svalutazioni per 100 miliardi di euro.

Per mettere a posto i conti le banche hanno convinto molti clienti a convertire i loro conti in azioni "preference" (rientrano nel capitale secondo Basilea II): ne hanno emesse per 32 miliardi. Quest'anno Santander ha convertito quei titoli in azioni a 14 euro ad azione, più del doppio della quotazione.

Wsj e ancora Wsj

domenica 1 aprile 2012

Sulle rivoluzioni via Twitter


di Simon Kuper, sul Financial Times del 31 aprile 2012

When I recently discovered Twitter, I went from contemptuous to addicted in about three days. But one thing still puzzles me about the world’s 10th most popular website: the notion that it’s a revolutionary medium. The failed Moldovan rebellion of 2009 was probably the first to be dubbed the “Twitter revolution”, but since then, Twitter has been credited with launching the Iranian uprising, Arab spring and London riots. Now it has supposedly prompted the African Union to hunt for the Ugandan warlord Joseph Kony, after an anti-Kony propaganda film spread through social media and was watched more than 100 million times. I confidently predict that the next revolution anywhere on earth will be dubbed “the Twitter revolution”.
Non-tweeting readers may have formed the impression that the Twittersphere is devoted to summoning people to demonstrations in grey repressive capitals. In fact, “trending” items are usually celebrity deaths, goals in football matches or anything to do with the teenaged singer Justin Bieber. And what’s true of Twitter appears true of computers in general. They are antirevolutionary devices. The global addiction to computers is helping keep the world quiet and peaceful.

Mostly, though, computers produce quietism. Despite Occupy Wall Street, a striking fact of the great recession in developed countries has been the passivity of young people.
Every now and then, of course, social media do contribute to change. The Facebook page “We are all Khaled Said”, named after a young Egyptian who died in police custody, helped galvanise protesters in Cairo’s Tahrir Square last year. And bad activists use YouTube and Twitter too. “On the web one can proselytise for the jihad all day and night with friends from around the world,” writes Jytte Klausen, an expert on terrorism at Brandeis University, and colleagues.
Historically, revolutions are made by the young: few of the Parisians who stormed the Bastille in 1789 came on Zimmer frames. And today’s youth ought to be rebelling. About a fifth of under-25s in western countries are unemployed. Their luckier peers are mostly either studying something that won’t lead to much, working as underpaid interns or waiting tables. The best-educated generation in history is ceasing even to think in terms of careers anymore: entry-level positions in sought-after industries such as fashion and media are now typically unpaid. If that were me, I’d be angry.
True, there was a wave of rebellion: by one estimate, 900 occupations of urban public space have taken place in western countries since last spring. However, from Oakland to Auckland the wave died. This was not 1968. Only in the much less internet-penetrated Arab world did the young demonstrators persist. Of course, few western youths quite want to topple their regimes, but there was an additional force keeping them off the streets: computers. Computers are the perfect narcotic, even better than TV, because you rarely sit around a computer with your friends. Occupy Wall Street quickly grasped that to keep its customers satisfied, it needed to install free WiFi in New York’s Zuccotti Park. The authorities quickly grasped that to deflate the occupation, they needed to seize the wifi gear.
Many young people today practically live with screens. A study by the Kaiser Family Foundation in 2010 found that Americans aged eight to 18 were spending nearly eight hours a day on devices such as computers, smart phones and TV. The study’s authors were stunned: they hadn’t realised anyone could pack that much screen time into a day.
If you’re watching a screen, you’re probably not making revolution. The 300 million Chinese microbloggers are arguably the greatest antirevolutionary force on earth. Where were they a year ago, when the Communist party was worrying about uprisings? In their bedrooms, blogging. Some of them blogged about politics.
It didn’t change much. Sarah Nouwen, a law lecturer at Cambridge who studied the viral campaign against Kony, believes that, for many people, sending a political tweet is an end in itself. “It’s something you can use to strengthen your moral CV,” she says. “So if you tweet about Kony, you look and feel good.” The tweeter may not fret much about what happens in Uganda afterwards. This is what is known as “slacktivism”: lazy support for causes.
Perhaps we should be grateful to screens. Some social scientists puzzling over the recent fall in violent crime in western countries have formulated a new theory: many potential criminals are too addicted to their screens to go outside. After all, mugging, fighting in pubs and storming the presidential palace are leisure-time activities. When you can spend your leisure-time inside with a computer, why stand in the rain and harass passers-by? The economists A. Scott Cunningham, Benjamin Engelstätter and Michael R. Ward argue that though violent video games make people feel more violent, the net effect of those games is to reduce violence because they keep potentially violent people home.

http://www.ft.com/cms/s/2/0e072330-7940-11e1-9f0f-00144feab49a.html#ixzz1qhdq5k9h